La frequenza cardiaca e il test del lattato

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La frequenza cardiaca e il test del lattato

Conoscere la frequenza cardiaca durante la corsa può essere fondamentale per rendere più funzionale l’allenamento: ma questo dato va “letto” nella maniera giusta.

Se, come spesso si dice, il cuore è il “motore” del nostro organismo, allora quando si corre va prestata molta attenzione a quello che può essere considerato il suo “contagiri”, specie alle andature più sostenute. Fuor di metafora, un aspetto sottovalutato da chi pratica running è il monitoraggio dell’attività cardiaca e della sua frequenza: questa è molto importante per capire se, durante l’esercizio fisico, il cuore risponde bene alle sollecitazioni a cui è sottoposto, ma anche per calibrare meglio l’allenamento. Dunque, conoscere ad esempio la propria frequenza cardiaca massima (FCM) non ha molto valore se presa come dato a sé stante, ma diventa fondamentale se correttamente “utilizzata”.

La frequenza cardiaca e il test del lattato

CONOSCERE LA FREQUENZA CARDIACA

Il numero dei battiti al minuto del cuore (bpm), parametro meglio conosciuto come frequenza cardiaca, va misurato alla fine dell’allenamento per stimare il proprio recovery rate”, ovvero la capacità dell’organismo di recuperare dopo uno sforzo intenso. Per conoscere il “recovery rate” basta controllare la frequenza cardiaca due volte a distanza di 60 secondi e poi sottrarre dalla seconda rilevazione il valore della prima, dividendo il risultato per dieci: se il numero che si ottiene è compreso fra tre e dieci non c’è nessun problema, mentre al di sotto di tre indica una criticità o, semplicemente, la mancanza di allenamento. Anche per questo motivo, nel corso delle sessioni di training è bene dotarsi di un cardiofrequenzimetro per tenere sott’occhio i battiti: oramai è utilizzato anche da atleti non professionisti e dovrebbe essere parte integrante dell’abbigliamento tecnico di ogni runner.

IMPARARE A “LEGGERE” I DATI

Appurata l’importanza di conoscere la frequenza cardiaca, va affrontato il problema legato alla lettura di questo dato e il modo in cui aiuta ad incrementare le prestazioni. Infatti, non basta conoscere solamente la “fatica” che abbiamo fatto durante lo sforzo, ma è necessario capire come la frequenza interessi le “zone allenanti”, ovvero la zona aerobica o quella anaerobica, e il livello di produzione di acido lattico che è uno dei sottoprodotti del meccanismo anaerobico. A questo proposito, i runners più esperti, o coloro che praticano questa attività a livello agonistico, dovrebbero effettuare il test del lattato (detto anche test dell’acido lattico) per avere dei riscontri più precisi: oramai la Medicina dello Sport considera questo test e la misurazione della frequenza cardiaca fondamentali per stilare un training funzionale e “personalizzato”.

La frequenza cardiaca e il test del lattato

IL TEST DEL LATTATO

Generalmente, il test del lattato non va eseguito a casa ma presso dei centri specializzati e, nella giornata che precede la rilevazione, è meglio non effettuare sessioni di allenamento troppo pesanti. Al momento del test, muniti di cardiofrequenzimetro, si inizia con 20 minuti di leggero riscaldamento sul tapis roulant per poi aumentare la velocità ogni 4 minuti. Al termine di ciascuno di questi “segmenti” verrà effettuato il prelievo di un campione di sangue dal lobo dell’orecchio e dal quale si potrà poi stimare il livello ematico di acido lattico. In questo modo si conosceranno, con un bassissimo margine di errore, i propri valori “soglia” anche per quanto riguarda la frequenza cardiaca, rendendo così il cardiofrequenzimetro non un mero display ma uno strumento fondamentale per calibrare gli allenamenti.

 

 

Il Team di RunningMania